lunedì 28 febbraio 2011

Lo Stuzzicadenti

Vabbè, è vero, non c'entra niente.

"Chi è?"
Indefinibili rumori di strada.
"Chi è!?"
Passa una macchina
"Allora, cazzo. Chi è?"
Un'altra macchina e, più lontano, un motorino truccato.
"Ma tu guarda se...".
Dopo neanche un minuto dal portone esce un uomo sui sessanta. Si guarda in giro. Si volta verso il citofono. Lo osserva da vicino ed estrae qualcosa incastrato in uno dei pulsanti. Guarda l'oggetto che ha in mano: è uno stuzzicadenti. Si guarda intorno. Incredulo. Scuote la testa e, tenendo lo stuzzicandenti in mano, rientra in casa.
Da ragazzino di scene come queste ne ho viste un sacco. Io naturalmente ero acquattato dall'altra parte della strada a godermi lo spettacolo.
Era un classico. L'evoluzione più tecnica del "Suoniamo i campanelli".
Non ci accontentavamo più di disturbare qualcuno e costringerlo a trascinarsi - qualunque cosa stesse facendo - a rispondere al citofono. No. Disturbarlo era troppo poco. Bisognava (sì, precisamente: bisognava) constringerlo a scendere in strada. Ecco allora, a un certo punto, spuntare gli stuzzicadenti. Bastava schiacciare il pulsante e aver cura di incastrare per bene il pezzettino di legno così da impedire al tasto di tornare nella posizione di riposo. Uno scherzo tanto semplice quanto molesto, che ho smesso di praticare intorno ai tredici anni, quando il mio socio si beccò un clamoroso calcio in culo dall'inquilino di uno dei palazzi presi di mira. L'umiliazione vista negli occhi di quel mio eroico compare mi è finora bastata come deterrente
È evidente invece che tra i membri del Consiglio provinciale di Monza calci in culo se ne sono visti pochini.   Non si spiega altrimenti come mai tra i suoi banchi ci sia ancora tanta gente così affezionata allo scherzo dello stuzzicadenti da non rinunciarci neanche per duemila euro al mese. Benefit esclusi.

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